Punto e Virgola – I cinque sensi
I sensi. Cosa succede alla cosa che più, nel nostro corpo, ci fa sentire vivi, quando un disturbo del comportamento alimentare si impossessa di tantissimi aspetti della nostra quotidianità?
Asia G. ce lo racconta analizzando i cinque sensi uno ad uno.
I cinque sensi, di Asia G
VISTA
Sarebbe bello ricordare cosa ho visto per la prima volta, non lo ricordo ovviamente, come credo nessuno di voi. Ricordo però di aver visto davvero tante cose bellissime, ma è stato strano poter ammirare tante bellezze e restare sempre estranea a ciò che potevo guardare. Mi sono sempre sentita partecipe solo delle cose negative, le cose positive erano sempre e solo lontane, isolate dalla barriera dei miei occhi. Durante i disturbi alimentari la vista ha svolto un ruolo fondamentale, attraverso la vista ho iniziato a guardarmi con degli occhi che portavano al mio cervello un’informazione che non mi piaceva affatto.
I miei occhi mi dicevano «sei cicciona», a volte volevano guardarmi per ore e giudicarmi ogni secondo delle mie giornate A ltre volte, mi risultava impossibile guardarmi, i miei occhi si rifiutavano, ero troppo per me.
Ho iniziato ad essere ossessionata ed impaurita di quella immagine, cercavo rassicurazioni dagli altri che non fosse poi così vero ciò che vedevo, ma quando ricevevo quelle rassicurazioni mi sentivo tradita, era solo un motivo in più per potermi vedere sempre peggio.
All’improvviso tutto cominciò ad avere più armonia di me, ed io ero perfettamente fuori tema rispetto al mondo, non c’entravo neanche secondo i miei occhi e nessun altro occhio meritava di guardare quell’orrore. Ogni giorno passato davanti allo specchio diventava sempre peggio, nonostante stessi cercando di controllarmi in tutti i modi, ero macchiata dentro e meritavo di guardare ancora e ancora solo quello spettacolo, solo me dentro quelle mura, davanti quello specchio.
Non mi fidavo più dei miei occhi, né di quelli degli altri, mi mentivano continuamente, a volte infatti la mia immagine quasi mi piaceva, ma poi l’attimo dopo, quando tornavo davanti ad uno specchio, ecco che tornava quel bue.
“ O ddio, vattene” pensavo, dovevo assolutamente mandare via quella bestia che aveva ingurgitato la mia piccola Asia. Come era possibile che fino ad allora non mi fossi accorta di quella bestia? Non mi interessava di perdere capelli, di perdere la luce negli occhi, di iniziare ad avere il contorno degli occhi nero, ero solo cicciona, il resto era invisibile. Io ero invisibile. L’unico alleato era il numero della bilancia, lui non mi mentiva, mi pesava, e anche se doveva comunicarmi di non essere dimagrita, me lo diceva.
Ma ero molto determinata, ogni giorno ricevevo belle notizie, le scrivevo accuratamente e segretamente nel quadernone dell’Asia anoressica, era il quaderno delle vittorie, era tutto perfettamente controllato.
Niente poteva toccarmi o ostacolare il mio piano, non c’erano cene con gli amici, i parenti si erano scordati di me con estrema facilità, Asia era diventata invisibile. Riuscivo ad essere un fantasma, ero una piuma, potevo appoggiarmi in qualsiasi posto, su qualsiasi persona, non avrei sconvolto nessuno, perché non si sarebbero accorti di me.
Sono stati giorni vuoti quelli, pensavo costantemente a cosa avevo mangiato durante il giorno e cosa avrei dovuto mangiare il giorno dopo. Nella mia testa avevo nascosto tutto perfettamente, senza accorgermi che invece mia mamma piangeva dalla vicina di casa e contattava le mie amiche chiedendo se andasse tutto bene, credevo di averli ingannati tutti, invece avevo ingannato solamente me stessa. Mi sentivo forte e felice, padrona di quelle quattro ossa, dentro quelle quattro mura, che ormai erano diventate le mie custodi.
Avevo paura di uscire, nessuno poteva guardarmi, mi avrebbero invidiata secondo la mia mente o non capita, io dovevo scomparire e loro dovevano saperlo che non c’ero.
Quando invece ho iniziato con le abbuffate seguite dal vomito, mi guardavo prima e dopo aver vomitato, prima di vomitare avevo la pancia gonfia, mi sentivo esplodere, e dopo aver vomitato invece, ero tutta rossa in viso, gli occhi stavano per uscire dalle orbite, erano lucidi per lo sforzo, ma dovevo cercare di convincere tutti che non stessi male.
Riacquisendo peso ci sono riuscita, basta dimostrare qualcosa di evidente, ed ecco che non serve andare a fondo alle cose.
La vista spesso può ingannare. Il mondo fuori non sapeva cosa accadeva quando chiudevo la porta del bagno, solo io vedevo da vicino quel water, non capivo perché la mia testa dovesse chinarsi lì e vedermi ogni giorno disperata e affannata dopo ogni abbuffata.
Ero esausta dopo le abbuffate, potevo dormire per ore, avevo raggiunto lo scopo nascosto della giornata perché, mentre pregavo che non succedesse, era anche il mio più grande desiderio ingurgitare per poi vomitare. Mi guardavo davanti il solito specchio e non riuscivo a capire chi avessi davanti.
Mi chiedevo: «Chi è questa Asia?».
UDITO
Quando soffrivo di anoressia, il mio udito ha iniziato a diventare un nemico: era come se ci fosse un giudice dentro di me che dettava regole. Quel giudice oggi -lo so con certezza- ero io.
Mi ripeteva costantemente quanto fossi cicciona e, anche se non lo sentivo con le orecchie, era un suono nitido nella mia testa. M i elencava tutto ciò che non dovevo permettermi di mangiare, ciò che dovevo fare durante la giornata. Avevo iniziato a fare esercizio fisico fino allo strenuo: quella voce mi ordinava di muovermi costantemente, nonostante non ne avessi le forze. Aveva sempre qualcosa da dire, qualche ordine da farmi eseguire, ed io non potevo fare altro che ascoltarla.
Non farlo avrebbe peggiorato la situazione: avrebbe urlato, avrebbe urlato insulti, mi avrebbe fatto notare quanto fossi incapace di portare a termine qualcosa, avrebbe toccato il bersaglio più debole di quel momento -io e le mie fragilità- avrebbe toccato tutte le mie insicurezze, mi avrebbe ricordato di quanto fossi inutile. Dovevo ascoltarlo.
Quando ho portato dentro la mia vita la bulimia, lì il giudice suggeriva cose diverse: di colpo mi diceva di abbuffarmi e vomitare poi. Q uando vomitavo, mi instillava il dubbio di cosa avrebbero potuto sentire gli altri – il mio giudice non voleva essere scoperto. Allora il bagno diventava la mia camera del chiasso, dovevo aprire l’acqua della doccia, mettere la musica.
Il rumore del mio dolore era mio soltanto, tutto per me, ed io lo sentivo fino in fondo, da dentro a fuori. Una volta uscita dal bagno ricordo che l’unica cosa che riuscivo a sentire erano i sensi di colpa: non solo avevo ascoltato il mio giudice, ora mi incolpava anche per averlo fatto.
Il giudice bulimico era costantemente in cerca di vomito: potevo essere ovunque, lui architettava sempre e comunque il momento sacrale dell’abbuffata e, a seguire, una fortissima urgenza di vomitare. Odiavo vomitare, mi spaventava tantissimo, ma allo stesso tempo mi liberava per un momento anche da quel maledetto giudice, che finalmente si metteva a tacere. In quel periodo le nocche delle mie dita erano spaccate, sanguinavano, il giudice diceva a tutti che me le ferivo con il forno, il giudice era sempre pronto a trovare una spiegazione ad ogni imprevisto, mi sussurrava costantemente delle scuse adatte ad ogni occasione. Invidiavo quel giudice così furbo, così preparato.
Oggi lo biasimo perché mi ha tolto momenti di vita che non mi verranno restituiti. Quelle giornate chiusa in bagno a sentire il rumore del vomito resteranno tali nella mia mente, ed io porterò anche questo ricordo, e spero che il giudice questo possa ricordarlo. I o non lo scorderò, né lui, né ciò che mi ha fatto fare, con la speranza che un giorno possa essere io ad urlargli contro tutto il male che ho dovuto ascoltare, e lui dovrà stare in silenzio, ad ascoltarmi.
TATTO
Il tatto: la sola parola è suggestiva. Tatto significa che qualcosa ha il potere di toccarti, la senti, è un corpo, un oggetto o una temperatura che lascia il segno su un altro corpo.
Quando cominciò il periodo dell’anoressia, insieme ai miei occhi, anche le mie mani si focalizzarono sulle parti di me che più odiavo, ogni giorno l’intenzione era quella di andare a cercarle senza volerle trovare.
Arrivò quel giorno. Sentivo finalmente le tanto desiderate ossa e niente al mondo mi faceva sentire più tranquilla, poteva accadermi qualsiasi cosa, le mie ossa erano lì con me. Ogni sera prima di andare a dormire toccavo le ossa del bacino, avevo una paura tremenda di non poterle sentire più, io mi alzavo ogni giorno solamente per portare a termine la mia missione, mangiare sempre meno e vedermi sempre meno e toccare con mano quanto il mio piano stesse funzionando.
Con la bulimia tutto cambiò, le mie mani non riuscivano più a toccarmi, ero diventata di nuovo quella di un tempo e questo mi impediva di farmi una carezza, di strofinarmi una mano sulla coscia se avevo freddo, potevo solo mettere le braccia conserte e nascondermi, le mie rassicuranti ossa erano scomparse.
Durante i disturbi alimentari avevo paura a toccare diversi cibi, ero convinta che toccandoli sarei ingrassata, per questo non potevo assolutamente sfiorarli, sarebbe stato come tradire me stessa e la mia malattia, ed io volevo solo poter rendere entrambe fiere di me stessa.
Quando cominciai a rendermi conto che le mie adorate ossa si stavano ricoprendo di carne, il desiderio di tornare anoressica mi ossessionava, volevo avere il controllo ancora una volta, volevo poter toccare le mie ossa, volevo annotare un’altra vittoria nel mio quaderno. Non fu così.
Giorno dopo giorno, crollarono tutte le vittorie che cercavo di impormi, non riuscivo più a controllarmi come prima, non ero più padrona della mia vita come mi sentivo con l’anoressia, e questo mi fece arrabbiare tantissimo, strappai ogni pagina del quaderno delle vittorie.
Temevo il contatto degli altri, avevo paura che toccandomi avrebbero sentito tutta la carne che portavo con me. Odiavo quel corpo e pur di non sentirlo cominciai a detestare questo senso più di tutti i sensi.
GUSTO
Nel periodo dell’anoressia ricordo che mi privai del piacere di mangiare per gusto e con gusto. Era come se volessi privarmi di questo senso. Mangiavo ciò che il mio giudice mi ordinava, senza ascoltare le mie voglie e ciò che il mio corpo richiedeva.
Mi convincevo di non aver bisogno di mangiare i cibi che mangiavo da quando ero bambina, quelli che amavo da sempre. Ero convinta di poter vivere senza quei sapori. Eppure la notte, spesso, cercavo le foto su internet di tutti i miei cibi preferiti e così facendo mi sembrava di sentirne il sapore. Dopo aver immaginato quel sapore, mi sentivo in colpa e mi ordinavo di restringere la dieta per aver ceduto a una tale debolezza.
Tutto ovviamente cambió nel periodo della bulimia. La mia mente era affamata di qualsiasi sapore e perciò mi abbuffavo e vomitavo ogni giorno, più volte al giorno. Volevo solo sentire qualcosa dopo tutto il tempo che passai a non sentire nulla.
Odiavo il gusto, mi faceva sentire debole. Non riuscivo più ad immaginare i sapori. La mia mente voleva che io mangiassi quei cibi. Dovevo ingozzarmi. Ed io ascoltavo.
OLFATTO
Durante l’anoressia ero terrorizzata dall’odore dei cibi. Avevo paura che, respirandoli, potessi assimilare le calorie che contenevano. Quando mia mamma cucinava andavo sempre in terrazzo o nella mia stanza, mi chiudevo a fare esercizi ginnici e, se per caso fosse stato indispensabile attraversare la cucina, trattenevo il respiro.
Una volta, mentre cucinavo per mio fratello (con i guanti, visto che toccare il cibo equivaleva a mangiarlo), annusai il profumo. Mi sentii così in colpa che, per alleviare quella sensazione, mi chiusi in camera a fare addominali.
Al contrario, durante il periodo della bulimia e in particolare nelle prime abbuffate, odoravo il cibo con curiosità spasmodica. Accadeva soprattutto prima di abbuffarmi. Era come se sentire l’odore così buono del cibo potesse giustificare la mia abbuffata.
Con i disturbi alimentari la comunicazione tra mente e corpo era morta e l’assassina ero io.