Punto e Virgola – Un conto in sospeso
Conti in sospeso ce ne sono sempre, quando si sta male.
“Punto e virgola” nasce come rubrica per parlare del disturbo alimentare, ma anche di tutto ciò che ruota attorno ad esso e che, spesso, lo precede. Qui vediamo in gioco una relazione intricata, piena di non detti che emergono con leggerezza.
Non resta che augurare buona lettura con “Un conto in sospeso”, di Lucy!
Lucy – Un conto in sospeso
Non così presto, mamma…No!…. Io non sono pronta. Non è ancora il momento…..
Carla, sopraffatta dall’emozione, ripeteva in uno stato semi confusionale queste parole, mentre con gesti scoordinati cercava di riempire una borsa da viaggio, la prima che le era venuta sottomano. Tentando di rasserenarsi, pensò che sua madre aveva ottant’anni, che certamente sarebbe potuta vivere ancora, ma il cuore indebolito lasciava da tempo presagire che il suo cammino non sarebbe stato molto lungo.
Dovrò anche prenotare l’aereo. E si, certo. Devo affrettarmi. In realtà non sarebbe dovuto essere un problema perché la prenotazione dei voli faceva parte delle sue mansioni da parecchi anni ormai, da quando dopo la laurea si era trasferita a Lione, dove aveva avuto una interessante proposta di lavoro in una agenzia di viaggi. Non riusciva, però, a ritrovare l’automatismo con cui si preparava il bagaglio ogni volta che doveva partire per accompagnare una comitiva. Non perché non sapesse che cosa mettere in valigia, piuttosto perché l’inconscio rifiuto di collocarvi gli indumenti necessari per la cerimonia sembrava assumere il significato di un disperato tentativo di cancellare quella circostanza.
Se solo l’avessi previsto sarei venuta a trovarti più spesso in questi ultimi tempi…E mentre se lo diceva cercava di focalizzare la cara immagine, di fermarla in qualche momento condiviso felicemente. Gli avvenimenti degli anni della prima infanzia si confondevano in un tempo piatto ed uniforme, del quale era rimasta, accanto ai ricordi sfuocati, una più nitida sensazione di sicurezza e di protezione. Ed ora chi saprà capirmi veramente? A chi potrò rivolgermi quando non so che pesci pigliare? Molte volte, infatti, Carla assonnata, mentre attendeva il ritorno di Silvie e Pierre, i suoi figli adolescenti, dopo quel limite d’orario che avevano faticosamente concordato, aveva pensato a sua madre e si era chiesta come si sarebbe comportata lei. Avrebbe voluto sapersi altrettanto saggiamente barcamenare fra la fermezza e la comprensione e cercava di emulare la diplomazia con cui lei era capace di tenere a bada le reazioni meno accomodanti del marito con la sua fondamentale azione di mediazione. A Carla riusciva raramente di saperlo fare con Jean, il compagno che aveva conosciuto in uno dei periodi di permanenza in Francia, per migliorare la sua conoscenza della lingua, durante il periodo universitario e dal quale, poi, non si sarebbe più separata. Era stata questa una delle ragioni per cui non aveva mai seriamente cercato lavoro in Italia. Non ho mai voluto sapere se questa mia scelta ti ha fatto soffrire, mamma. Mi sono sempre trincerata dietro la consapevolezza che non me lo avresti mai fatto pesare. Ricordò allora con commozione che Maria, avendo avuto quest’unica figlia dopo i quarant’anni, si era sempre preoccupata del rischio di lasciarla sola troppo presto e che, anche per questo, si era dimostrata molto contenta quando lei aveva trovato un buon lavoro e, ancor più, quando si era fatta una sua famiglia; anche se ciò la costringeva a vivere lontano. Forse aveva previsto, fin da quando Carla si era iscritta al liceo linguistico, che lo studio delle lingue avrebbe potuto comportare la permanenza per tempi lunghi lontano da casa. Ma Maria non aveva mai contrastato le sue scelte, le aveva, invece, sempre fatto sentire la sua comprensione, il suo affetto e il suo sostegno. Anche nella circostanza più drammatica della loro vita, alla quale non ripensava mai volentieri, ma che in quel momento non poteva non ritornarle in mente.
Era accaduto all’improvviso, almeno così lei ricordava. Era successo a quella che era stata una bambina tranquilla ed affettuosa, cresciuta in una famiglia serena. Una di quelle figlie che tutti vorrebbero avere: carina, non pretenziosa, diligente a scuola, rispettosa verso i genitori. Non sembrava neppure troppo amareggiata di essere figlia unica, perché la loro semplice e accogliente casa era sempre aperta per gli amichetti e le amichette. Neppure i cambiamenti della preadolescenza erano stati particolarmente turbolenti. Il fatto che Carla fosse meno immediata nelle sue manifestazioni d’affetto, che avesse i suoi piccoli segreti, gelosamente custoditi in quel diario che Maria mai e poi mai si sarebbe permessa di violare, certamente aveva un po’ sconvolto la routine della famiglia e talvolta la madre si era trovata in difficoltà di fronte agli improvvisi cambiamenti d’umore, ai palesi turbamenti di cui i genitori avrebbero voluto conoscere la causa, per poter proteggere la figlia da quei rischi che non erano sicuri di saper valutare, perché la loro generazione non li aveva vissuti.
Perciò quanto accadde mentre frequentava la terza all’inizio del secondo trimestre fu del tutto imprevedibile. La pagella era stata ottima e i risultati non avevano comportato uno stressante impegno perché Carla aveva attitudine e interesse per le lingue e le piacevano anche le altre materie. Ma, all’improvviso, cominciò a non riconoscersi più, a non piacersi più: ad essere insoddisfatta di se stessa, della sua immagine, della sua quotidianità. Tutto le sembrava banale, estraneo, insignificante, talvolta nemico. Nei primi tempi provava spesso anche un grande senso di colpa, perché sapeva che nessuno era responsabile del suo malessere, non i genitori affettuosi, non gli insegnanti che la stimavano…Nessuno. Eppure a volte avrebbe voluto cancellarli tutti: le pesava l’affetto dei familiari che sentiva opprimenti, la considerazione degli insegnanti che temeva ossessivamente di deludere, lo sguardo degli compagni su cui vedeva riflessa un’immagine di sé che temeva. Concentrarsi era sempre più difficile. Provare interesse per qualcosa sempre più saltuario. Solo l’ansia diventava via via più presente e soffocante. Allora scoprì che sentirsi lo stomaco pieno le creava un certo appagamento, perciò sempre più spesso trovò consolazione nella dispensa e nel frigo, per poi pentirsene e cercare talvolta di liberarsi con il vomito o con i lassativi, mentre temeva e insieme sperava che qualcuno se ne accorgesse. Perciò alternava sapientemente le strategie per procurarsi il cibo a casa e fuori casa.
Maria se ne accorse abbastanza presto, ma nei primissimi tempi non volle drammatizzare, pensò che si trattasse di un malessere passeggero, di un momento difficile della crescita di un’adolescente. Le faceva solo osservare benevolmente, credendo di far bene, che il suo giro vita stava dilatandosi, che i pantaloni non si chiudevano più bene e che non bastavano le felpe larghe a nasconderlo. Neppure gli insegnanti sembrarono farci caso, pure loro pensarono che anche gli studenti modello potessero attraversare qualche periodo negativo o forse si convinsero che alla base del suo cambiamento ci fosse qualche problema familiare di cui erano tenuti volutamente all’oscuro. O forse no: erano semplicemente tutti impreparati ad affrontare un tale problema.
Carla ricordò che Maria, dopo un iniziale smarrimento, per un breve periodo aveva oscillato fra l’ atteggiamento severo, che assumeva quando c’erano pacchi di biscotti o sottomarche di merendine nei luoghi più impensati, una volta addirittura in mezzo alle confezioni di detersivi nel mobiletto del bagno, e una mal simulata complicità, per cui faceva lei stessa trovare alla figlia dei prodotti alimentari, migliori di quelli che lei si sarebbe comprata, nella speranza che, venendo meno il desiderio di trasgressione, si attenuassero anche le abbuffate, o, quantomeno, nel tentativo di fare in modo che Carla non si danneggiasse lo stomaco con cibi scadenti.
Quanta gratuita umiliazione avrai provato mamma quando il medico di base, che avevi consultato con fiducia, ha candidamente affermato che non esistevano cure farmacologiche per il mio disturbo, perché esso probabilmente trovava origine negli in atteggiamenti sbagliati assunti da qualche familiare nella mia prima infanzia! Immagino che ti sarai inutilmente tormentata chiedendoti in che cosa potessi avere sbagliato. Chi sa se sono riuscita a farti capire che non avevi nulla da rimproverarti? E’ troppo tardi, ma vorrei potertelo dire.
Saggiamente Maria, consapevole che il suo scoraggiamento avrebbe danneggiato ulteriormente la figlia, pensò di rivolgersi alla psicologa della scuola, anche se quest’ultima non poté far altro che dirle che qualsiasi suo intervento avrebbe richiesto il consenso e la collaborazione della ragazza. Allora si rese conto che, se sua figlia soffriva, e che soffrisse ne era certa, lei non poteva che starle accanto, senza la pretesa di avere una soluzione, senza la certezza di poter essere lei a trovare la strada per guarirla, ma semplicemente perché doveva esserci e doveva fare ogni possibile tentativo, insieme a lei, per trovare chi potesse curarla.
L’annuncio che il volo per Bologna partiva dal gate 14 giunse familiare a Carla, perciò non la distolse più di tanto dai suoi pensieri. Si ricordò che avrebbe dovuto avvisare del decesso alcune persone che sua madre aveva più assiduamente frequentato e pensò che forse alle esequie avrebbe rivisto anche la sua amica Giovanna, che, come lei, aveva dovuto ripetere la terza a causa di una malattia che aveva loro impedito di frequentare per un lungo periodo la scuola. Anche la tua infezione polmonare è stata una patologia di notevole gravità e ti costò un lungo ricovero e la perdita dell’anno scolastico. Ma io ti ho invidiato lo stesso, perché mi sembrava profondamente ingiusto che a te e alla tua famiglia fossero rivolte continuamente espressioni di affetto e di solidarietà, mentre noi eravamo oggetto di malcelata riprovazione. Quasi fossimo noi stessi responsabili della mia malattia, che non pochi credevano si potesse guarire solo con un po’ di impegno e di buona volontà da parte di una bambina viziata, cui i genitori le avevano sempre date tutte vinte….Ma quel che è peggio è che anche mio padre finì col crederci. L’uomo si era convinto, infatti, che solo un comportamento severo, piuttosto che dialogante, potesse ristabilire un giusto equilibrio nella relazione fra genitori e figlia, evitando che quest’ultima continuasse a raggirarli. E a poco serviva che la mamma gli facesse osservare che la palese sofferenza fisica e psicologica era la prova evidente della sincerità di Carla. La situazione sarebbe sicuramente precipitata, perché la donna non aveva la forza di sostenere il malessere della figlia e insieme l’atteggiamento conflittuale con il marito, oltre alla chiusura del corpo insegnante, che sempre più chiaramente si dichiarava impotente di fronte a tale situazione, perché costretto da rigide regole burocratiche. Si stava quindi convincendo che la separazione, seppure dolorosa, sarebbe stata forse inevitabile per poter affrontare il problema che riteneva prioritario.
Fortunatamente però, prima che questo accadesse, fu individuato ad una trentina di chilometri da Sant’Agata Bolognese, dove la famiglia viveva, un centro per la cura dei disturbi alimentari presso la clinica psichiatrica del capoluogo. Lo stato di gravità raggiunto dalla malattia di Carla fece subito ravvisare la necessità di un ricovero, ma tutti i parenti in qualche modo coinvolti, nonni, zii, cugini, espressero parere negativo, perché la malattia mentale venne vissuta come un fatto disonorevole per tutta la famiglia. Certo che non ero pazza: non serve essere pazzi per avere una sofferenza psichica. E poi cosa vuol dire essere pazzi? Non è forse anche questa una malattia? Perché chi ne è affetto dovrebbe vergognarsi più di colui che ha un tumore o la tubercolosi? Ora mi sembra assurdo, ma allora anch’io mi sentii terrorizzata all’idea di essere ricoverata in una clinica psichiatrica. Ci volle tutto il coraggio e la pazienza della mamma per convincermi. Accettai solo perché non avevo altri punti di riferimento che lei. Tutti gli altri avevano gradualmente preso le distanze da me. Invece ho imparato tante cose da quella esperienza, la forza devastante dei pregiudizi, per esempio, che fanno si che ci voglia una grande forza d’animo, come quella che ebbe mia madre, per fare le scelte giuste.
Madame s’il vous plait du thé ou du café?….. Madame café ou thé ?
Un thé au citron. Merci, rispose distrattamente Carla all’hostess premurosa, per poi riprecipitare nei suoi pensieri e chiedersi se fosse opportuno ricordare durante il funerale il ruolo che la madre aveva avuto nella sua guarigione.
Lei, infatti, poi guarì. Anche se non subito. Non dopo il primo ricovero. Durante il quale un rapido miglioramento comportò troppo precocemente l’interruzione della degenza. Carla volle ritornare subito a scuola, ma non riuscì a sostenere lo stress del recupero delle lezioni perdute. Forse anche per questo ebbe una ricaduta, inattesa, che rese necessaria una nuova ospedalizzazione, per non correre il rischio di vanificare tutto l’impegnativo percorso fatto fino ad allora. Quello fu proprio il momento peggiore, mamma. Per un po’ mi sentii tradita anche da te: pensai che mi avessi portata lì per liberarti di me, del mio problema. Che anche tu fossi una debole, come i miei insegnanti, come i miei amici, come tutti….Seguì un altro ricovero che si prolungò per il tempo necessario, durante il quale Carla ricevette le cure farmacologiche e psicologiche di cui aveva bisogno. Poi ci fu un periodo di convalescenza, coincidente con le vacanze estive e con l’inizio dell’anno scolastico, in cui continuò ad essere seguita, periodicamente controllata e, quando necessario, sostenuta clinicamente. Quindi, quando si sentì più sicura, ricominciò a frequentare regolarmente la scuola: fu come se una luce si stesse gradualmente riaccendendo e facesse assumere via via alle cose significato e agli eventi spessore. Non lo dimenticherò mai.
Spesso si era chiesta quale fosse stata la causa di quello che le era successo, ma durante le cure aveva acquisito la consapevolezza che dell’ammalarsi c’è una serie di concause, che differiscono da persona a persona. Così come ci sono tanti fattori che favoriscono la guarigione.
Non sei, quindi, stata tu a guarirmi. Ma tu hai saputo creare intorno a me il contesto che ha favorito l’efficacia della terapia e la risposta positiva del mio organismo. Sei stata capace di starmi vicino con discrezione, rinunciando a qualsiasi protagonismo, anche nei momenti per me e per te più difficili. Sapevi che era una sfida e l’hai…l’abbiamo vinta.
Carla, mentre scendeva dalla navetta dell’aeroporto, focalizzò quello che avrebbe detto durante le esequie e avvertì a poco a poco che la serenità riprendeva il posto dell’ansia, che, dal momento in cui aveva ricevuto la notizia, la aveva pervasa.
Fu come se avesse finalmente, anche se purtroppo tardivamente, saldato un vecchio conto ancora in sospeso.
Lucy