Punto e Virgola – Auguri
Natale è passato, di auguri se ne parla l’anno prossimo, ma questo denso racconto di Deer, unica autrice che ha partecipato al concorso proponendo due testi, parla di come il binomio Natale e serenità sia lontano dai fatti per chi convive con un disturbo del comportamento alimentare.
“Auguri”, un racconto di Deer
«Ahi! Ma cazzo !»
Questa maledetta mano che non funziona più come dovrebbe! Mescolare una pentola, niente di difficile, eppure non sono più capace di farlo, non ho più la forza! Come ha detto che si chiama ‘sta roba il dottore? “ Dito a scatto” , “ tunnel carpale” … Non mi ricordo più, parla così complicato!
«È normale signora, a 78 anni meglio di così non starà, deve farci l’abitudine» dice lui… normale! Che provi lui a vivere da solo e non riuscire a compiere le azioni più semplici e quotidiane! Maledetta età…è imbarazzante invecchiare. Almeno la polenta, l’unica cosa che i miei figli ormai lasciano cucinare a me a Natale, devo riuscire a farla! Stupida mano, afferra quel mestolo e non cedere di nuovo! Li ho sentiti: «Non far cucinare la mamma, che si affatica», credono che sia messa così male? Per lo meno anche quest’anno per fortuna verranno tutti qui, figli e nipoti, e anche il piccolo Rafael! È una gioia averlo qui per il suo primo Natale! Visto che alla fine anche Cristiana ha messo su famiglia? E io posso ancora godermi l’essere nonna di un bambino di nuovo!
Vorrei poter cucinare io, come una volta, per tutti. Invece, com’è che si sono organizzati? Non lo ricordo nemmeno, eppure me lo hanno sicuramente ripetuto svariate volte, stupida memoria! So solo che Patrizio mi ha ordinato di non preoccuparmi, che al pranzo avrebbero pensato loro tre figli…ah sì, lui cucinerà la carne, di questo sono sicura: la fa quasi come la faceva suo padre quando era con noi.
E quindi il resto lo porteranno Cristiana e Ornella, forse cucinerà addirittura la mia nipotina, che era così curiosa e insistente nel chiedere a proposito del menù per poter contribuire anche lei! Nipotina la considero io… ormai è più alta di me di 10 centimetri, con i suoi 18 anni… o 20 forse… faccio sempre così confusione con le età dei ragazzi!
Certo è che è un po’ magrolina, che non riesco a non chiamarla così! Beh ormai è tale e quale sua madre alla sua età, escluso per il corpo che è un quarto di Ornella da giovane. A nche lei ha la passione per la cucina: tutte le mie amiche sono così contente quando porto un dolce che ha cucinato lei! Infatti aspetta… ma non aveva detto che avrebbe cercato di fare un panettone fatto in casa, come l’anno scorso? I dolci sono la sua specialità… ma perché allora mi ha chiesto i dettagli di chi cucinerà quale piatto? Che poi, a me lo chiede che non ricordo… l’importante è che siamo tutti qui, se anche le portate non si combinano perfettamente una con l’altra poco importa, non mi interessa cosa si mangia! Magari vuole fare un antipasto… sono loro i bravi a cucinare ormai, che facciano quello che gli pare! Ah, dimenticavo: la soppressa di mio fratello in cantina! È l’antipasto di cui sono più orgogliosa, devo tagliarla! Con il pane che fa Ornella in casa starà benissimo!
Eccoli! Cristiana, il suo compagno Augusto e il piccolo Rafael: arrivano presto per dare la pappa al tato prima di pranzo. Ha un appetito quel bambino, che soddisfazione dà! Neanche il tempo di farli entrare e sistemare la carrozzina che sento nel cortile la macchina di Patrizio, la sua compagna Glorianna e la madre di lei. Auguri a tutti rapidamente, sono giust o in tempo per aiutarmi a versare la polenta e mettere a scaldare la carne e il brodo per i tortellini che ha fatto Cristiana. «Prendete pure finchè aspettiamo gli altri, bisogna avere pazienza con loro che hanno mezz’ora di strada da fare… è la soppressa dello zio!», ci si avventano subito tutti, come previsto, bene!
Finalmente anche Ornella e famiglia ci raggiungono, all’ultimo come sempre. Scommetto che Robert ha dormito fino a 40 minuti fa, è pigro come se avesse ancora 15 anni, negli ultimi 10 non è cambiato in questo aspetto!
«Bene, ora che siamo tutti butto i tortellini nell’acqua, se volete prendere anche voi una fetta di soppressa prima… servitevi!» Robert e suo padre non se lo fanno chiedere due volte. Sua sorella invece mi sa che non ha sentito, con l’espressione assente che ha. Glielo ripeto, non capisco la risposta (è il mio udito o ciò che ha farfugliato non sono parole?), ma non la prende. Mi dà entusiasta invece il panettone che ha fatto.
«È il primo di quest’anno?»
«No no! Ne ho già fatti tre!»
«Beh e come sono venuti gli altri? Possiamo fidarci che sarà buono allora!» «Ehm…»
«Non bene? Dai che a noi piacerà sicuramente!»
I nterviene sua madre in maniera un po’ fredda. N on capisco bene cosa ci sia sotto questo scambio, mi sembra però di aver fatto una domanda scomoda: «Sono venuti benissimo».
Prendendolo la ringrazio con un buffetto sul sedere, come quando la prendevo in giro qualche anno fa scherzando. Mi guarda male, si gira e se ne va infastidita.
Siamo un po’ stretti tutti in questa cucina, ma la stanza piena vale il prezzo di dover stare vicini e la confusione.
Da capotavola riesco a vederli tutti, altro che la solita tavola vuota e silenziosa! Ho i miei nipoti accanto, stringo le braccia a entrambi augurando «buon appetito»; ormai grandi come sono non li vedo quasi mai, sono così impegnati. Speriamo siano contenti di questo giorno.
Il tempo di incantarmi ancora un secondo a godermi questa scena ed è già la voce di Robert che «Ce ne sono ancora?!». E prima che io riesca ad alzarmi per controllare nella pentola, la sorella «Sì, ti do i miei che sono troppi per me, altrimenti non mi sta la carne!». Ma se me ne aveva chiesti già pochi… che non le piacciano?
La famiglia chiacchiera rumorosamente, sono in difficoltà a cogliere le parole nella confusione, non riesco a legarmi ad una conversazione. Appena colgo delle parole, le loro risposte mi fanno capire che non ne ho colto il senso. Loro ci scherzano. Mi prendono in giro. So che lo fanno superficialmente, che non sono seri, ma fatto sta che io seriamente non li seguo nei discorsi. Provo allora ad approcciare i vicini, ma non trovo grande collaborazione: lui è impegnato a seguire suo zio, lei è silenziosa, ma scontrosa in qualsiasi risposta.
Prima di servire il panettone raccolgo i piatti. Visto che lei ha lasciato anche della carne, temo non abbia apprezzato.
«Hai mangiato poco, sei a posto così?». Non mi risponde, ma spinge il piatto nelle mie mani.
«Vuoi prendere il tuo panettone allora?»
Sembra si sia risvegliata: vuole assolutamente servire lei la sua opera, come anche il pandoro che ha portato Augusto, occupandosi di preparare le porzioni per tutti. Aspettiamo lo prenda anche lei per ultima… non si era nemmeno accorta di non averlo preso per sè!
«Così poco per te?!»
«Sì sì, sono pienissima…».
Inizio a sparecchiare la tavola, così possiamo iniziare con i giochi da tavola. «Vuoi che te lo lasci?» mi sono accorta che sta spiluccando dal panettone intero in continuazione. «No! Portalo via per favore!».
*
«Su sveglia ragazzi! È ora di andare dalla nonna Giulietta!»
Cosa?! È già ora di pranzo? La sveglia segna… le 10:00. Ah no! Ma perché diavolo ci sveglia così presto per niente?! Lo sa che sono andata a dormire 7 ore fa per finire di cuocere il panettone dopo che sono venuta a casa stanotte.
Il panettone! Finalmente oggi è il giorno in cui posso assaggiare il mio panettone! E che nella fretta di cuocerlo stanotte, che sono rientrata tardi, secondo me non è venuto bene come quelli della settimana scorsa… vorrei averli assaggiati…no, anzi, bene aver aspettato, così oggi lo posso mangiare: sarà correttamente il mio dolce settimanale! Così non dovrò rispondere a interrogatori sul perché io non lo prenda stavolta. Certo che… se solo sapessero quali ingredienti contiene nemmeno loro vorrebbero mangiarlo, ne sono sicura: con quelle dosi di burro!
«Dai che andiamo a fare gli auguri alla nonna Emma tutti insieme prima di partire, poi ci facciamo tutti le docce … su su!»
Vorrei scappare via, vorrei poter dormire tutto il giorno ed evitarmi la tortura della giornata, ma non posso. E forse non voglio. In fondo posso farcela: tanto stasera non vorranno cenare nemmeno gli altri, quindi con questa scusa posso evitare di farlo anche io, posso affrontare il pranzo. No! Posso farcela perché vale la pena godersi una tradizione e un momento di famiglia, sacrificando leggermente la meticolosità nel rispetto delle mie fissazioni.
Godersi: non sono propriamente in grado di considerarlo piacevole, ma voglio fidarmi che solo facendolo prima o poi mi godrò un pasto del genere.
Famiglia: almeno ci sarà qualcuno oltre a quella con cui litigo un giorno sì e uno no, in base a se mangio o meno…non gliene frega di altro in me! Se mangio ok, e comunque non sono soddisfatti, se no li deludo e si devono offendere!
Mie: no. Non sono mie le fissazioni. So che non sono io a dettarmele. Non più. Sono lontani i tempi della dieta in cui ero intenzionata a seguire un piano strutturato per perdere peso. Ora non sono io a volerlo. La mia testa è sdoppiata. Si è insinuato qualcos’altro, che non ho la forza di combattere. Ma non riesco a non cedere alle regole che mi impone. Almeno oggi ci proverò. Se solo capissero anche gli altri che non sono io ad avere il controllo, che è come chiedere ad un alcolista di non bere.
Scendo dalla macchina: cerca di sorridere, è solo una giornata, non succederà nulla, ce la puoi fare, ricorda che gli altri hanno un’emotività. Certo che è dura: sembra che lo facciano tutti apposta.
Basta un passo in casa per perdere di vista i buoni propositi. Sono troppe sfide tutte in un colpo. La soppressa! Già la carne mi mette in difficoltà. Il maiale poi. Insaccato! Come possono non rendersene conto? La sensazione di disgusto mi assale solo guardando gli altri avvicinarcisi, a quell’unto del grasso che resta sulle dita, che resterà nel loro corpo. Ok, nessuno ci darà peso se la evito, resto in piedi vagando per la cucina finchè posso.
Mi siedo vicino alla nonna, figurati se lei si accorge di qualcosa! Tanto lei mangia pochissimo, quindi non noterà nulla. Tortellini! Davvero? Vi rendete conto che cioè, che razza di piatto indefinito e confusionario sono?! Sono carboidrati della pasta, ma con pure l’uovo, ma con anche la carne dentro… carne dentro la pasta, cotta in un brodo di carne… mi fa ribrezzo. Non ne mangio da almeno due anni. Hanno il mio piatto in mano, aiuto! Scatto in piedi: «Ah nonna, per me pochi per favore». Inevitabili. Sono meno di quelli della mamma, ma sembrano troppi
C’è un silenzio intorno a me, solo la mia testa parla. Però se guardo gli altri stanno tutti muovendo le labbra, chissà di cosa discutono.
Respiro, mi concentro. Io devo mangiare i tortellini, perché sì: per loro. No, per me. È questo che dice lo psicologo, che dicono i profili social di chi è riuscito a guarire. La lingua mi trema in bocca al primo tortellino. Ne mangio metà, prima di risvegliarmi alla percezione della domanda di mio fratello che mi salva da questo sforzo. Però dai… Metà: è un progresso! Questo lo racconterò alla dietista! Ho affrontato un cibo fobico!
Con il secondo non va malissimo. Tra una parte di me che vuole affrontarlo e un’altra che vorrebbe far sparire i pezzi di carne, la finisco quasi tutta.
«Ah… a scuola? No, sì, cioè… bene!». M i devo concentrare per spostare l’attenzione dal piatto alla conversazione in cui sono chiamata dalla zia Cristiana. Chiacchierando effettivamente va giù meglio anche il pranzo, quasi inosservato. Cosa nonna?! Mangiato poco? Ti rendi conto che ho mangiato il doppio che a Pasqua? Tu non c’eri, siamo stati a casa noi quattro, l’atmosfera non era delle migliori. Per favore nonna, non guardarmi anche tu così. Cosa te ne frega se non ho mangiato quanto mio fratello? Se non ho l’appetito che ha un neonato famelico? So che lui è bravo per te, anche io ti piacevo finchè da piccola e ignorante, come te, mangiavo anche la pelle del pollo, il grasso della carne e la panna dei dolci. Lui deve crescere, lui può crescere, lui non ingrassa. Io sono un’altra persona. Persona. Anche se ora non puoi più scherzare sul mio sedere in crescita esagerata, come 3 anni fa, sono sempre io.
E poi c’è ancora il dolce. Sono combattuta: non capisco quale parte di me lo vuole. Intanto agli altri, che siano soddisfatti di almeno una cosa che faccio! E poi non so, non ricevo più comandi da nessuno nella mia testa. Ma il braccio parte da solo. Dopo aver finito la mini fetta di panettone che mi sono tagliata, la mia mano si muove senza controllo prendendone ancora, e ancora. Quanto è buono!
Quando la nonna sparecchia torno in me. Cosa sto facendo?! Dov’è finito tutto quel panettone che riempiva quel buco che ho scavato?! Quanto sono stupida, incapace, inutile. Il pensiero resta durante tutto il pomeriggio, nonostante mi impegni a raggiungere il mio obiettivo a Risiko.
*
La sera è sempre il momento peggiore. Non ceniamo, sono tutti pieni. Il secondo giro di pandoro e la frutta secca sono stati alle 18 in effetti. Bene così. Robert esce con la morosa, lui ha sicuramente il coraggio di andare a ingozzarsi ancora anche a casa sua. Mamma e papà stanno in salotto a riposare. Mi chiudo in cucina con il portatile, a guardare serie tv. Ora sono usciti gli episodi a tema Natale, che non ho ancora visto. Ne concludo uno, vedo l’ora: è passata l’ora di cena. Incompletezza. Guardo un altro episodio, altri 20 minuti. Irrequietezza. Mi alzo, apro la porta, guardo in salotto: sono entrambi sul divano, dormono tutti a occhio, gatto incluso. Faccio il giro della tavola, apro la porta della dispensa, ci guardo dentro, la richiudo. Potrei cercare una serie con episodi da 40 minuti, finchè mi stanco. Ne provo una… troppi superpoteri. Nervoso. Malinconia. Ne provo un’altra. Chissà com’era il pane della mamma! Sicuramente buono, ma non si può mangiare se c’è anche il primo e se c’è anche la polenta! Lo ha riportato a casa o lo ha lasciato là?
Un’esplosione. Cosa? Mi sono persa cosa è successo, negli ultimi 5 minuti. Mando indietro. L’esplosione di nuovo. Perché non riesco a seguire?! Tolgo le cuffie. Solitudine. Le mie gambe si avviano di nuovo verso la dispensa: il pane c’è. Eh va beh domani a colazione sarà ancora qua. Verso il frigo, da dove arrivano gli impulsi nervosi che spingono il mio corpo qui di fronte? Black out. C’è la crema avanzata per il panettone che ha fatto la mamma. Non l’avevo assaggiata ieri sera! La rapidità con cui si muove quella mano verso la ciotola mi sorprende. Si ferma prima di afferrarla. Torna indietro. Chiude il frigo. Delusione. Meno di 30 secondi dopo rivedo la stessa scena. Ma c’è un cucchiaino ora, che si fionda dentro e, strabordante di crema, raggiunge la bocca. La mia bocca. Non sento il gusto però. Il pane: me lo ritrovo fra le mani, che lo strappano avidamente. Malinconia. Ci sono delle patatine aperte. Quanto tempo è che non ne mangio? Non ne ho idea. Le mastico con un’aggressività che non riconosco. Affanno. Panico. Cosa succede? Non riesco a fermarmi. Ribrezzo. Odio. Imbarazzo. Nessuno mi vede, per fortuna. Schifo.
Un movimento di là. Corro a sedermi. «Noi andiamo a dormire, buonanotte» «Buonanotte». Vorrei quasi esplodere. Non con loro. Vorrei piangere, non riesco. Nausea. Rabbia. Foga. Non ho camminato oggi. Confusione. Disperazione. Terrore. Follia. Irrecuperabile.
Domani è un altro giorno. La prossima settimana sarà un altro anno. Tra 365 giorni sarà Natale di nuovo, con un panettone fresco, un bambino che correrà da solo per casa e una nonna che non riuscirà a stargli appresso. Auguri.