Punto e virgola – Wasted
Riprende, dopo un lungo periodo di pausa, la rubrica Punto e Virgola, che ha dato a tante ragazze l’opportunità di esprimersi tramite la forma narrativa per raccontare il proprio vissuto circa i disturbi alimentari e di mettersi in gioco con la parola scritta.
La rubrica avrà cadenza quindicinale e ci accompagnerà per qualche mese.
Vi lasciamo con le parole di Larissa, nel suo racconto “Wasted”.
[Trigger reading: il racconto descrive con pochi giri di parole aspetti sgradevoli del disturbi alimentare che potrebbero urtare la sensibilità di alcuni.]
La mia storia inizia precisamente 16 anni fa. Ancora non riesco a realizzare il fatto che sia passato tutto questo tempo. Eppure ricordo tutto bene: certe cose non le dimentichi, ti segnano nel profondo e ti cambiano per sempre.
Avevo 13 anni, quasi 14, era la mia prima serata in discoteca con due amiche. Tutte e tre emozionate ma spavalde e curiose di affrontare quel mondo ancora inesplorato. Quella sera del 31 agosto 2003 avrei dovuto stare a casa. Avrei evitato di conoscere l’inferno.
Conobbi un ragazzo, molto bello, affascinante e più grande di me, già maggiorenne. Non riuscivo a credere che un tipo così fosse interessato a me, una comune ragazzina. Sì, lo ammetto, sono sempre stata una ragazza carina, mi piace vestire bene e all’epoca dimostravo più anni di quelli che in realtà avevo. Quel ragazzo aveva un non so che di magnetico, emanava un’energia strana, con lui non mi sono mai sentita completamente a mio agio, il perchè non lo capirò mai.
Ci scambiammo i numeri, avevo già il cellulare perchè i miei lavoravano di giorno e, pur lasciandomi molta libertà, preferivano avere la possibilità di chiamarmi sempre.
Insomma, avevo tra le mani il numero di Dominic e tremavo di gioia.
I giorni seguenti supplicai i miei di lasciarmi frequentare quel ragazzo, anche se in realtà l’avevo già rivisto una volta a loro insaputa. Capivo il loro disappunto, lui era grande e aveva un po’ le maniere del classico playboy. Mi concessero di uscire con lui, a patto di tenere sempre il cellulare con me e di chiamarli a ogni spostamento. Sì, perchè Dominic sarebbe passato a prendermi in macchina.
Da quel giorno, iniziarono i tre mesi più belli che potessi immaginare, mi sentivo come su una nuvola. Avevo trovato il mio principe azzurro, bello, perfetto, gentile e generoso. Forse troppo per una bambina, la quale non sapeva che i sogni possono tramutarsi in incubi.
Con l’inizio dell’anno nuovo, avevo fatto 14 anni da un paio di mesi, Dominic cominciò a cambiare atteggiamento, era freddo, scostante e soprattutto faceva complimenti a altre ragazze davanti a me e questo non potevo tollerarlo. La prima volta mi lamentai e alla mia scenata lui rispose con un ti amo che mi ammutolì, lasciandomi crogiolare nel mio brodo, auto convincendomi che fosse colpa mia. Insomma, dovevo meritare di stare con lui, perchè lui era perfetto e perchè mai avrebbe dovuto sentirsi costretto a stare con una stupida e insulsa grassona come me? Lui mi amava e io gli gridavo dietro? Non ero abbastanza, cominciai a vedermi brutta. Mi presi le cosce tra le mani, mi parevano enormi, le braccia flaccide, il viso troppo paffuto. Decisi da quel giorno di saltare tutti i pranzi, tanto i miei erano al lavoro e non mi avrebbero visto gettare nella spazzatura il cibo che mi lasciavano da riscaldare.
Dominic continuava a corteggiare le altre, spesso mancava ai nostri appuntamenti o mi chiamava all’ultimo che non poteva venire. Cominciò a fare uso di coca sotto i miei occhi e questa lo rendeva aggressivo. Guidava come un pazzo, se ripenso ai momenti in auto con lui sento ancora i brividi. Il mio peso calava, non sono mai stata grassa, tutt’altro, ma ora i vestiti mi stavano tutti larghi e ne ero felice. Contavo le calorie, saltavo i pasti oppure sputavo i bocconi cercando di non farmi vedere. Provai a vomitare ma non ci riuscii, mi disgustava. Bevevo litri di acqua per sentirmi piena, per zittire l’eco del mio stomaco vuoto. L’appuntamento con lo specchio era fisso. In camera dei miei ce n’era uno grande, che prendeva l’intera figura. Ogni giorno, tornata da scuola, chiudevo le tende e mi spogliavo davanti ad esso. Non so perchè lo facessi, tanto non ero mai soddisfatta di ciò che vedevo, ma forse ero così tanto arrabbiata con me stessa che provavo gusto nel tormentarmi. Il mio cervello sembrava diviso in due, una parte vedeva chiaramente l’esserino gracile riflesso, mentre l’altra insultava, derideva e detestava quell’ammasso di grasso. Le gambe non erano mai abbastanza sottili, le clavicole non formavano un solco abbastanza profondo, le braccia erano troppo grosse. Ora penso che l’anoressia fosse come una seconda, orribile personalità che si era impossessata della mia coscienza e della mia ragione, offuscando ogni briciolo di giudizio. I capelli cominciavano a cadere a ciocche. Non me ne importava, tanto valevo zero.
Dominic cominciava a maltrattarmi, deridermi di fronte ai suoi amici perchè ero piccola e a volte non capivo i loro discorsi. Mi spintonava, umiliava e usava i miei capelli come asciugamano se aveva le mani sporche o bagnate. Ovviamente, il sesso era per lui un chiodo fisso. Voleva essere adulato, non ne aveva mai abbastanza, le mie forze erano poche perchè mangiavo sempre meno ma lui a volte mi obbligava. Non capivo che quella dovesse essere considerata violenza vera e propria ma lo assecondavo, sempre e comunque. Pomeriggi interi passati da lui, chiusi in una stanza finchè non mi sbatteva fuori quando finalmente era sazio. Come faceva a essere impassibile dinanzi alla mia nudità, così ovviamente emaciata, disperato grido di aiuto? Credo che la mia magrezza in qualche modo lo eccitasse perchè stavo soffrendo per lui. Per me quei pomeriggi erano una tortura, ma volevo stare con lui, solo quello contava. Pregavo in una parola dolce, qualsiasi cosa, invece ogni volta mi spingeva letteralmente fuori da casa sua. Usata e gettata, come uno dei tanti preservativi. La mia autostima, già scarsa, stava scomparendo. Durante le mie silenziose e solitarie crisi di pianto mi schiaffeggiavo oppure mi facevo piccoli taglietti sui polsi. Osservavo i tagli più profondi dai quali sgorgava un rivolo di sangue, ascoltando intanto la mia voce interiore che mi ripeteva che me lo meritavo, il dolore era la giusta punizione per lo schifo che ero. Volevo sparire e poi perchè il maledetto stomaco non smetteva di brontolare? A 14 anni ero già stufa di vivere. Se però un paio di istanti dopo ricevevo un messaggio da Dominic, correvo da lui. Perchè sarebbe cambiato, sarei potuta morire per farlo. Finalmente, sarei potuta diventare degna di lui, non importava a che prezzo, ma prima o poi il suo atteggiamento sarebbe cambiato e avrebbe iniziato ad apprezzarmi.
Se notava che altri ragazzi erano interessati a me, lui si arrabbiava. Gli insulti erano pesanti, orribili, ma io incassavo. Lo meritavo, ero una puttana, buona solo a scopare, inutile. Smisi completamente di nutrirmi. Ricordo che ogni tanto il respiro si faceva affannoso e sentivo il cuore dare un battito più forte del normale, come a spronare il corpo a trovare energie pur di andare avanti. L’amenorrea non tardò ad arrivare e questo non mi preoccupò affatto. Ormai era quasi maggio e la scuola stava andando a rotoli, il rischio di perdere l’anno si faceva alto, i miei si disperavano ogni volta che mi vedevano, litigando spesso tra di loro, Dominic mi usava come voleva. La mia vita era un disastro, ogni cosa fuori controllo, ma non il mio corpo. Ormai avevo il controllo totale su di esso. Se i miei litigavano, mi chiudevo in camera in lacrime, graffiandomi gli avambracci e strappandomi i capelli. Un brutto voto a scuola provocava in me la stessa reazione, un prof mi diede anche una nota perchè non stavo studiando, non seguivo. Se Dominic abusava di me tutto il giorno cominciavo a sudare freddo e a stritolandomi i polsi fino a farmi male. Questo mix di situazioni instabili e terribili mi fece cadere nel baratro dell’anoressia.
Cambiai temperamento, divenni rabbiosa e scontrosa con chiunque. Mi stavo isolando, mi sentivo sola ma nello stesso tempo avevo creato una corazza invisibile con la quale tenevo tutti a distanza, specialmente chi mi voleva veramente bene. Gli ultimi tempi l’appetito sparì, lo stomaco si era rimpicciolito ed abituato al forzato digiuno. Odiavo i miei, li evitavo appena potevo troncando ogni inizio di conversazione e se mai provavano a rifilarmi qualcosa da mangiare diventavo isterica. Se ci ripenso, quanto avrei voluto sbranarmi ogni cosa, la fame era assillante. A scuola una mia amica ha provato ad aiutarmi a studiare a prestarmi i suoi appunti, ma io li ho scaraventati per terra gridandole di lasciarmi in pace e uscendo dalla classe sotto gli occhi esterrefatti di tutti. In quel preciso istante, mi resi schifosamente conto di quanto cominciassi sempre di più ad assomigliare a Dominic, alla sua aggressività e disprezzo per ogni cosa. Ricordo anche quando una mia compagna mi disse che meritavo di meglio, che mi stavo rovinando e non era giusto perchè ero buona. Le sue parole mi colpirono anche se non lo diedi a vedere. Sentirmi dire da qualcuno che meritavo qualcosa era così strano. Io, che volevo sparire, se avessi potuto raccogliere il mucchio d’ossa che ormai formava il mio corpo e sgretolarlo, l’avrei fatto. La malattia cominciava d intaccare il cervello perchè sentivo di non ragionare più con lucidità, la concentrazione era nulla e in più sentivo gli occhi di certe ragazze puntati addosso e sentivo le loro critiche. Sotto sotto ero contenta quando le sentii bisbigliare che sembravo un filo quasi senza vita. Ogni giorno avevo un preciso rituale da seguire alla lettera e se non lo facevo ero in grado di punire me stessa con incredibile crudeltà, partendo da insulti, schiaffi e tagli. Buttavo il cibo, poi davanti allo specchio per un accurato esame, dovevo controllare che tutte le costole si vedessero,come le ossa del bacino. Poi almeno 100 addominali oppure salti o corsa sul posto e per finire una camminata a passo svelto lunga chilometri. Ricordo che camminavo veloce, a testa bassa, come una furia. La mia meta non era un luogo, ma uno stato: la mia cancellazione.
Un giorno, il 17 luglio 2004, ricordo ero in piedi in camera mia tutto d’un tratto vidi tutto nero. Caddi all’indietro sbattendo la testa sul pavimento, la lingua si rivoltò bloccandomi la gola e la respirazione. Mio padre mi scrollò, mi disse e tirò fuori la lingua. Rinvenni madida di sudore e sentii subito un tremendo mal di testa. Mio padre chiamò la guardia medica e la sentenza fu immediata; anoressia. Pressione 60 80, peso 38,5kg per 164 cm di altezza. Quella parola non era nuova per me ma sentirla mia, sentire il nome di quel demone mi terrorizzò. Ero diventata anoressica da mesi. Solo pochi giorni prima mia nonna mi aveva vista in pantaloncini e t shirt e si era spaventata della mia magrezza, rendendomi felicissima. Che povera stupida ero.
Il vero calvario, per me, inizò lì. Riposo forzato, quindi stop alle mie interminabili camminate senza meta e tre pasti al giorno. O così, o il sondino. I miei mi imposero di troncare con Dominic e questo fece riversare tutta la mia ira di nuovo su me stessa. Mi graffiai le braccia fino a scorticarmi, rivoltai la mia camera lanciando ogni cosa, materasso compreso. La rabbia mi dava una forza assurda e in più bruciavo un sacco di calorie. Quel bastardo mi mancava da morire,ma non chiamava e sapeva del mio problema, gli avevo spiegato tutto. Finalmente iniziai dubitare di lui.
Come presi le distanze, i suoi insulti via sms divennero abominevoli, tanto che dovetti cambiare numero perchè mi chiamava nel cuore della notte, solo per svegliarmi e insultarmi. Odiava il fatto che mi stavo riprendendo senza la sua energia tossica, che non era più al centro dei miei pensieri, che non poteva più sfogare la sua rabbia cocainomane su di me né usarmi e gettarmi via. Non più, io ero più forte. Avevo calpestato il suo gigantesco ego e cominciò probabilmente a tramare contro di me. Un pomeriggio mi vide che camminavo da sola e sfrecciò in quarta verso di me con la sua auto, parandomisi davanti. I nostri sguardi si incrociarono per un istante e vidi puro odio. Scappai via spaventata ma fortunatamente non mi seguì. Per un bel po’ evitai di uscire da sola, non oso pensare a cosa avrebbe potuto farmi.
Silenziosamente, sparì dalla mia vita così come ne era entrato. Sono cresciuta molto più in fretta dei miei coetanei per causa sua. L’anoressia sparì lentamente, ma devo dire non del tutto.
l fantasma della malattia fa capolino ogni tanto. Ho l’abitudine di pesarmi, di fare veramente molto esercizio fisico e di trattenermi dal mangiare cibi grassi. Credo non guarirò mai al 100% e questo mi fa un po’ paura ma sono fiera di me stessa e della mia forza. L’anoressia annienta e non se ne va mai a mani vuote, si prende un po’ della salute della persona, fisica o mentale e si prende anche un po’ della gioia di godersi la vita. A me ha lasciato anche tanti ricordi e una tremenda lezione da cui ho imparato troppo presto che il mondo sa essere crudele.
Quindici anni fa la consapevolezza che ero viva, e che meritavo di vivere come chiunque altro, era la cosa più importante. Se quel 17 luglio fossi stata sola in casa sarei morta a nemmeno 15 anni, per lui. Per lui che non se ne sarebbe nemmeno accorto e ne sono consapevole ma non posso addossare tutta la colpa ad una relazione malata. Se mi fossi resa conto prima del fatto che ero circondata da persone positive, che farebbero di tutto per vedermi felice e se avessi avuto solamente un po’ più di autostima e fiducia in me stessa, l’anoressia non sarebbe mai stata un capitolo della mia vita. Eppure credo che ogni cosa che accade nelle nostre vite sia per una ragione. Ho imparato ad amarmi di più, ci sto lavorando ancora, purtroppo non è facile. Spesso penso di non fare abbastanza, mi preoccupo se rispondo male a qualcuno oppure mi pongo mille dubbi sul mio atteggiamento, ho spesso il timore di essere in errore. Ho capito che merito di nutrirmi, di riposarmi e divertirmi come ogni essere umano.
Per un po’ di tempo anche il Natale con le conseguenti gran mangiate, così come Pasqua, Capodanno o semplicemente occasioni nelle quali si festeggia e si mangia, sono state tabù per me in quanto a gioia. Anzi, erano un vero e proprio incubo, già ad inizio dicembre iniziavo ad avere l’ansia per il Natale, a cercare in tutti i modi di mangiare il meno possibile e di smaltire subito. Durante varie occasioni come il matrimonio di mio cugino, ricordo che mi alzavo da tavola dopo ogni portata. Senza nessun motivo, solo detestavo l’idea di aver ingurgitato tutto quel cibo e non poterlo smaltire come volessi. Però nello stesso tempo cercavo di godermi la festa e la compagnia, così come durante le feste comandate. C’è quella parte combattente di me che mi sprona ad andare avanti, che la vita è una sola e di non perdermi in effimeri complessi. Addirittura inesistenti direi. Non è una cena a farmi ingrassare e nemmeno un Natale o un pranzo dalla nonna.
Ho anche un tatuaggio, un punto e virgola in mezzo all’elettrocardiogramma che circonda il mio avambraccio destro. Perchè quel 17 luglio è stato la svolta verso una nuova vita.
Vorrei concludere con una frase di una canzone che mi fa impazzire, si intitola Teeth dei 5sos.
“Blood on my shirt, heart in my hand…still beating.”
Sì perchè nonostante le numerose ferite, il mio cuore batte ancora.
Per le persone che amo, per la vita che sto costruendo.